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copertina

Il Novellone

Il Gatto dalle Mille Marezzature e altre infinite storie
Autore: Paolo Borzi
Pubblicato nel 2021
Pagine 144
ISBN 9788872748954
€ 10

 

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Il Libro

“Bisogna notare che restando nel contratto ignoto il genere d’arma, si consegnava di fatto ai Gatti il diritto di fare e disfare a loro piacimento. Ma il ronf-miao dotto e bluastro, che era nei paraggi, spiccò un balzo sul tavolo, ornato d’una sola papalina da Pontefice Romano, e impresse l’orma della zampa tra le firme.”

 

“Una indimenticabile concentrazione di linguaggi e storie”, scrive Donato Di Stasi a proposito di questo romanzo assai atipico.
Il Novellone inizia con una boccacciana immersione nel mondo della fantasia, quando un mattino un gatto tigrato di un grigio sbiadito non passa più dietro alle solite inferriate e una figura l’attende spersa, abbandonata dall’amore. Un racconto epico, contundente, alla chanson de geste, con un umorismo e anacronismi continui, inseriti come cavalli di Troia. Si passa da papiri antichi a chiavette USB, sfilano nel teatro di carta rimatori di corte e rapper, nocchieri, studenti fuoricorso e gatti mammoni con qualcosa da dire.
+Paolo Borzi+

Note critiche estese

Il libro che non deve finire

Il linguaggio non è lo strumento per esprimere il pensiero, bensì il pensiero stesso che si coagula nei segni capaci di concretizzarlo. È questo il senso laico di un Logos (un Verbum per dirla nella traduzione di San Girolamo) che nel tempo lievita il suo kairos, attraverso una pienezza di momenti, passaggi storici e segni. Il Novellone di Paolo Borzi (Robin Edizioni, Torino 2021) è anzitutto narrazione che vuole (ri)creare un linguaggio capace di dare forma a un pensiero incarnato. Il verbo incarnare non è usato a sproposito: si tratta di un pensiero concreto, fatto di sapienza contadina e ortolana, di magia domestica, di folclore (distillandone gli elementi “progressivi” da quelli “fossili”, direbbe Gramsci), di arte borghese (nel senso basso medievale di mestiere artigiano, di intagliatore del legno, scalpellino, fabbro, maestro di muro) che si inserisce in una sapienza del sortilegio capace di cogliere il sacro nel genio del focolare e nel guizzo della fiamma. Questo sapere ancestrale si trova nella tradizione orale, nella fiaba, nella poesia e nella narrazione popolari, nei canti degli stornellatori, dei giullari, dei cantastorie e dei poeti “a braccio”, la cui materia e certe strutture metriche e immaginifiche salgono a fecondare la letteratura dotta, lasciando impronte se non veri e propri calchi. Ecco allora lo scopo linguistico del libro: creare una lingua che sia compendio del sapere e lingua-mondo, attraverso una sapienza che si concretizza nell’attraversamento della Storia e delle epifanie della cultura popolare. Si tratta di un melting pot nel quale cuoce il brodo della civiltà, dal quale le epoche e le tradizioni pescano mestolate di vita ogni qual volta la crisi (guerre, epidemie, collassi di ecosistemi e sistemi sociali) garantisce l’emergere di nuove opportunità.
L’argomento non è nuovo: già nei romanzi precedenti, Le Sciamanicomiche (2007) e ancor di più Le Tavole della Leggenda (2014), il tema della fine e della (nuova) formazione della civiltà come adozione psichica di una sapienza del cuore, dolce e primordiale, declinata nel senso di un’iniziazione alla vita dei protagonisti, aveva costituito la spina dorsale di narrazioni complesse dal tono scopertamente epico. Adesso Borzi sembra tirare i fili della ricerca e del ragionamento in un’opera tesa e compatta che affonda le radici negli scritti precedenti, anche attraverso auto-citazioni e auto-riferimenti. Il campo di calcetto, con le sue baracche, il bar, le birre, i tramezzini e le pizzette unte, diventa il luogo di questa nuova “messa a sistema”. È un territorio fuori dal tempo, che appartiene a quella linea che separa campagna da agglomerato urbano e che si può ritrovare nelle mappe delle città di mezza Italia se non di mezza Europa. È il luogo della Compilazione a cura dell’anonimo Ragioniere, cioè di quella narrazione senza autore (quindi con un’autorità collettiva) delle vicende, della tradizione e del folclore che affonda nella relazione e nell’amicizia dei protagonisti che agiscono come strumenti di recupero. Recupero di cosa? Per comprenderlo è necessario gettare uno sguardo sulla struttura del Novellone: una prima parte, adagiandosi sul modello della cornice boccacesca del Decamerone, raccoglie dai personaggi, uniti intorno al tavolaccio del bar del campetto, i racconti dei modelli della tradizione: il sogno, la favola, il racconto, la poesia, l’epos, il racconto storico e filosofico. Il recupero si sostanzia, quindi, nel repertamento degli innesti formali nel tronco vivo della tradizione e nel tentativo di una sua compilazione sistematica. Per farlo, Borzi imposta una sorta di “elegia rovesciata in Epos” nella quale le vicende dei Celti e degli Etruschi («Etruschi e Celti avevano fatto la nostra protostoria centrosettentrionale, e loro segni tornavano nell’ immaginario vivo che ha edificato meraviglie sotto gli occhi di tutti, anche molto successive alla loro scomparsa, come nel caso dei fondamenti del Ciclo Bretone e notevoli esempi di vestigia materiali. Poi, la tirata sull’elegia, con acredine combinata anti classicista e anti new age, non considerava che le persone potevano ritrovarsi in certe caratteristiche perché inclini a modi universali di essere e sentire: a volte ritornano, anzi, ritorniamo, era un po’ il succo») fecondano un impero romano terminale mischiato con le vicende proto cavalleresche dei normanni e dei bretoni, innestato a sua volta nelle contemporanee mutazioni etniche e culturali dell’immigrazione. Il melting pot va allora in ebollizione facendo reagire come in un’ampolla alchemica la poesia in ottava rima dei trovatori del centro Italia con il rap o il trap dei migranti di ultima generazione.
La seconda parte è invece un post apocalisse, nella quale i personaggi assurgono al ruolo di sopravvissuti all’epidemia e al collasso dei sistemi produttivi, della tecnologia e della società. In un’Urbe stravolta, dove municipi e quartieri assurgono a unità territoriali indipendenti e autonome, la civiltà si rinnova, le economie si trasformano e si scontrano, si compongono guerre, nascono relazioni, si stringono alleanze, si firmano trattati di pace o economici.
Non ci si inganni: il Prima e il Dopo in questo romanzo hanno una circolarità che li situa fuori dal tempo. Il Prima altro non è che il Dopo di un altro Prima, e così avanti nel corso della Storia e della civiltà che crescono, si seccano e si espandono come rami di un grande albero. La Compilazione, che nel romanzo nasce nei papiri antichi per arrivare in una chiavetta USB, è la trasmissione della linfa vivificante e nascosta di quest’albero che dà il senso alle cose e alle relazioni: «il senso quale era: rigenerare una Tradizione. E noi che ci troviamo a vivere? Una incipiente nuova tradizione che rassomiglia abbastanza alle loro utopie, con la differenza che l’eccesso di realtà che c’è qui ci costringe a somigliargli solo in parte, e per niente nella quota che rimane; e a vivere qualcosa che somiglia piuttosto alla fase incipiente della tradizione di una volta, che li ha respinti nella fase finale e definitiva per tutti.»
Il Novellone è un dittico che ospita a sua volta ante a specchio nelle quali osservare i cerchi concentrici della vita. Nel rettangolo del campetto, che fa cortocircuitare i Prima e Dopo in un unico luogo, si compendia l’esistenza e l’utopia, il possibile e l’acquisito, la lezione del maestro e l’apprendimento del discepolo, il vecchio e il nuovo mondo. In questo spazio si muove a passo felpato un gatto. Non è questo il luogo dove affrontare il senso di questo protagonista della prosa (e della vita?) del Borzi e le implicazioni relazionali, filosofiche, alchemiche, religiose, letterarie e poetiche di questo felino. Basti qui dire come il gatto segni la nascita e la fine del libro, ne determini il corso a partire dalla sua uccisione, che ha il sapore di un sacrificio, e la sua rinascita.
Borzi trasporta in un mondo immaginifico per poi gettare in faccia la realtà (umana e felina, umana che diventa felina e viceversa) con piglio quasi profetico. Pare un libro perduto e poi fortunosamente ritrovato, in uno scavo archeologico o in un cestino di un circolo sportivo, da leggere e passare oltre, perché qualcun altro ne continui la Compilazione. Un libro che non si deve smettere di scrivere, che non deve finire.

(Luca Benassi)

È online la presentazione presso La Tenda dei popoli del nostro autore Paolo Borzi e del suo romanzo “Il novellone”.
In dialogo con l’autore: Donato Di Stasi, Luca Benassi, Marcello Carlino, Franco Romanò
Vedi tutta la presentazione

Una Epica Nuova come risposta adeguata alla crisi della letteratura in questo momento storico. (trascrizione dell’intervento di Marcello Carlino sul “Novellone” di Paolo Borzi presso la “Tenda dei Popoli” il 4 marzo 2022 a Ostia).
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Dato atto che il Novellone di Paolo Borzi è un’opera ad alta temperatura, ad alta gradazione polisensa, e che dunque il lettore ha tutto l’agio di entrarvi, di tracciare il suo percorso le sue soste e la sua linea di interpretazione, articolerò questo intervento in più parti scandite da altrettante parole chiave: quattro parti quattro parole chiave.

La prima è “Marezzatura”: è naturalmente una parola pienamente autorizzata dal testo fin dal suo titolo. Marezzatura implica un pelo in qualche misura maculato, striato, con interferenze sovrapposizioni e sfumature di colore. La marezzatura è caratteristica soprattutto delle gatte ed è caratteristica di incroci multietnici che ovviamente sono alla base nel DNA dei gatti marezzati. Marezzatura implica il concetto di ibrido, un ibrido multifunzionale e multiculturale; e per l’appunto il Novellone è deliberatamente un ibrido, e cioè la risultante di un insieme di compresenze tutte particolarmente significative. Compresenze di generi narrativi: c’è il racconto di fantascienza e c’è la favola, c’è il racconto fantastico e c’è quello picaresco; c’è il racconto che ha origine come nella tradizione nei luoghi similari della locanda e c’è il racconto dai margini, dalla periferia; c’è traccia di versi di poesia a braccio; c’è il racconto a tema, c’è il racconto allegorico. La compresenza di tutti questi elementi si coglie nettissima nel Novellone, così come è chiara la compresenza di personaggi: personaggi antropomorfi, personaggi uomini, personaggi animali; così come è naturalmente rilevabile la compresenza di focalizzazioni diverse di punti di vista diversi legati anche a narratori diversi, che si passano per dire così la parola lungo la serie di racconti. Si tratta insomma di un’opera costruita fortemente su una sorta di realtà in cui la molteplicità è un dato fondamentale ed è una ricchezza essenziale. I racconti hanno esattamente queste spiccate forti caratteristiche.

Parola chiave numero due: “Cooperazione”. In questo tragico frangente che riporta in tragica evidenza una storia millenaria purtroppo mai interrotta fatta di soprusi di sopraffazioni di violazioni della sovranità dell’indipendenza della libertà, parlare di cooperazione è qualcosa che sicuramente ha un forte significato antagonista. Ebbene il Novellone è un’opera in qualche misura fondata sulla cooperazione, nel senso che la molteplicità di cui prima si diceva è qualcosa che nel suo carattere fondante non si preclude tuttavia una sintesi potenziale, il molteplice non si preclude la possibilità di diventare uno, le differenze non si precludono la possibilità di essere composte; e in effetti i racconti, mentre hanno una loro autonomia e mentre hanno dunque dei tratti differenziali che li caratterizzano, hanno anche, e la manifestano pienamente, una linea di continuità che si lascia apprezzare e che in qualche modo poi costruisce una sorta di iper racconto di fondo rispetto ai racconti che sono proposti lungo la schidionata del testo. E non è soltanto la cornice ad assicurala; è proprio questa sorta di filo rosso, di corrente sotterranea che spesso viene in superficie e che organizza semanticamente il testo. il rapporto tra molteplici e uno è un rapporto nodale, è un dialogo fondamentale, è un dialogo che consente anche di leggere in maniera puntuale e significativa il rapporto che Paolo Borzi intrattiene con la storia del racconto e del romanzo del Novecento: un rapporto fatto naturalmente di scelte fortemente innovative, di scelte che si contraddistinguono per uno scarto forte dalla norma, ma fatto anche contestualmente di riferimenti sia pure ammodernati alla tradizione. In questa dialettica tra tradizione e innovazione si gioca naturalmente per intero la scrittura di Paolo Borzi: una scrittura da questo punto di vista che fondamentalmente è indirizzata esattamente a comporre e a offrire una sorta di sponda dialogica alle differenze costitutive e strutturali che sono alla base del testo.

Terza parola chiare chiave: “Large”, misura large: intendo con questa parola chiave, che a me pare assolutamente fondamentale, il fatto che c’è una sorta di curiosità espansiva nella scrittura di Paolo Borzi, che la porta naturalmente non soltanto a forme in qualche modo di ingestione bulimica dei linguaggi e degli stili, ma che la porta sostanzialmente anche ad estendere la sua cifra, a proporre in qualche modo una sorta di scrittura ininterrotta; e non a caso il sottotitolo del Novellone fa riferimento per l’appunto ad una serie di storie infinite… ecco, nel senso che in qualche misura queste storie hanno la prospettiva di continuare ininterrottamente seguendo naturalmente percorsi ogni volta variati. Questa misura larga della scrittura e del racconto significa anche al tempo stesso che il linguaggio viene per così dire assaporato, sia nelle sue forme che sono spiccatamente narrative, sia nelle digressioni, nelle pause, nei momenti nei quali il discorso si ferma, come in altrettante pause, come in altrettanti momenti di sospensione, a riflettere esattamente da un punto di vista metalinguistico sopra il linguaggio che viene proposto e che ovviamente è un linguaggio che fuoriesce dagli schemi usuali. Questa misura larga della scrittura è legata anche ad un altro fenomeno particolare che qui mi pare si evidenzi in tutta la sua forza: la scrittura di Paolo Borzi è una scrittura che proprio perché assume questa misura larga si gioca sulla componente anche della oralità. È una scrittura che rimanda ad una sorta di lettura mentale ad alta voce che è fondamentale, anche perché il linguaggio venga fatto risuonare nella mente del lettore e in questa serie di echi che la caratterizzano, si doti ulteriormente di prospettive di significato.

La quarta parola chiave che mi preme particolarmente indicare è “Epica “. Sì, perché la scelta che da anni Paolo Borzi va facendo è di riferirsi esattamente ad un modello, naturalmente riproposto nella nostra contemporaneità, che è il modello dell’epica. È il modello della riscrittura, della riproposizione dialetticamente innovata delle forme tradizionali dell’epica, ma è anche in misura molto evidente la proposta di una “epica nuova” come risposta adeguata alla crisi della letteratura in questo nostro momento storico. La riproposta di questo modello epico passa esattamente attraverso lo straniamento, passa attraverso questa dialettica tra il molteplice e l’uno, passa attraverso l’autoconsapevolezza che la scrittura ha sempre e costantemente nel giocare le sue carte. L’epica qui significa tanto: significa praticare le singole digressioni, le singole ramificazioni del racconto; ramificazioni e digressioni che hanno per protagonisti personaggi diversi e situazioni diverse; significa imbarcarsi nel piacere del testo e da questo punto di vista gustare fino in fondo il gioco sul linguaggio e farlo gustare al lettore; significa animare in maniera anche teatrale gli spazi le scene la location del testo, che per l’appunto è una location puntualmente ricostruibile soprattutto nell’ottica delle periferie di quella grande periferia che è diventato il nostro mondo. Ma il respiro epico è anche sottolineato dalla intenzione di dire, dalla intenzione di comunicare, dalla intenzione cioè di un racconto che sta nelle cose, che sta a ridosso delle cose, che sta nel presente, che si sporca nel presente; e che il piacere del testo lo declina in funzione di una scelta certo problematica certo estremamente consapevole e legata ad un processo di forte autocoscienza critica, ad una scelta che riguarda lo stare della letteratura nel presente, il riferimento della letteratura ad una realtà che ovviamente tutti ci coinvolge. Questo è un tratto significativo e ulteriore, che ancora richiama la scelta che Borzi ha compiuto da tempo e che anche nel Novellone esprime in maniera variata ma fondamentalmente riconoscibile: la esprime legandosi naturalmente a tutta una serie di motivi di temi e di forme che sono state presenti nella sua produzione precedente; la esprime esattamente gestendo la linea del racconto in funzione di un rapporto insieme prensile e aperto con una varietà di esperienze tutte quante e legate all’intenzione di dire, e dunque legate ad una dialettica piena tra il molteplice e l’uno, tra le differenze e una intenzione comunicativa connessa naturalmente al polisenso, che è caratteristico di ogni testo letterario, in particolare di quello che sperimenta fino in fondo le sue forme le sue dimensioni il suo rapporto con l’esistente.