Algeri: estate 2010.
A chi appartengono quei resti umani rinvenuti per caso nell’antico cimitero ebraico del quartiere di St-Eugène da una coppia di amici, algerino lui, italiana lei, conosciutisi su facebook?
Improvvisatisi detective, Assan e Maria, intraprendono un’indagine parallela a quella del commissario di polizia, Nidouc Nidoutec, ora intralciandola ora orientandola verso la soluzione dell’enigma.
La vicenda, che porterà l’ufficiale, duro e impassibile, ma raffinato e dotato di pungente ironia, a ricorrerere, suo malgrado, a procedure per lui inconsuete nelle indagini, si snoda in un’Algeri proiettata nella modernità. Anche se in essa emergono sempre il recente tragico passato come pure la sua storia lontana, non mancano di delinearsi, sullo sfondo degli avvenimenti, i prodromi di quella che sarà la Primavera araba mentre permangono, ancora, indelebili, le tracce del suo tragico recente passato coloniale come di quello della sua storia lontana.
Nelle sue strade assolate come nella penombra degli antichi palazzi, i protagonisti si imbattono in un intreccio di simboli, nomi e cifre che li guidano verso la soluzione del crimine. Nel loro procedere tortuoso dalle prospettive enigmatiche, i personaggi – e il lettore con essi – percorrono interni e esterni inaspettati che li portano a conoscere il retaggio pluriculturale di quella civiltà millenaria.
Rassegna stampa
“Il giallo che avvince diventa anche occasione per un exursus sul come e perché l’Algeria e la sua capitale siano oggi una realtà per nulla aperta al nuovo e, nonostante la ricchezza che si riversa su di una fascia molto ristretta della popolazione, sostanzialmente ripiegata su se stessa e per nulla sensibile ai grandi temi che si dibattono nello scenario internazionale.”
Giuseppe Barbanti – Nuova Venezia