Ronald Firbank (1886-1926) è il nome più originale del decadentismo frivolo ed estetizzante che caratterizzò certa prosa inglese dopo il tramonto dell’astro di Oscar Wilde. Scrittore amatissimo da intenditori del calibro di E.M. Forster, Edmund Wilson, Thomas Bernhard e Giorgio Manganelli, ma poco valorizzato dalla critica per pura miopia, o per la sua “insostenibile leggerezza”. Unico e inuguagliabile il suo “wit”, come la sua capacità di creare situazioni improbabili e stravaganti attraverso un linguaggio camaleontico e una disincantata sprezzatura.
“Derelitto splendore”, a cura di Silvio Raffo, raccoglie gli scritti giovanili di Ronald Firbank: definiti dall’autore “contes”, in parte novelle di ampio o breve respiro, in parte bozzetti teatrali e improvvisazioni. Vignette sardoniche della vita dell’high society del suo tempo, gioielli di squisita perfezione, di uno stile assolutamente inconfondibile per la levità del tocco e la svagata grazia poetica che li connota, vedono la luce nel primo decennio del Novecento e anticipano i romanzi che consacreranno Firbank come funambolico narratore della più aristocratica e disincantata “causerie nonsense” di marca britannica. Su fondali fantasmagorici da teatrino di marionette si muovono le figure più sontuose ed evanescenti – fanciulle esangui e caritatevoli, perfide dame vendicative o mogli esemplari, giovani aristocratici malati o inclini a perverse ambizioni, vecchie stordite ed estrose zitelle – tutte travolte dall’insensato vortice della vita. Un vortice di piume, etereo e breve come un sospiro d’angelo nell’incanto di un giardino lunare. Una leggiadra danza di spettri compassati e bizzarri come in un dipinto di Ensor o di Felicien Rops: la Morte che ride di noi.