“A volte ricordare non alleggerisce il dolore di una cosa che ci manca, ma anzi fa soffrire un po’ di più. Il tempo perduto non si ritrova mai. Nemmeno sulla carta. Ma almeno uno può provare a recuperarlo. E io ci ho provato.”
I sette racconti de “La scala d’oro” sono la trasmutazione alchemica del sangue di una vita nella linfa della scrittura, filtrata da uno sguardo che, come per uno che sa di dover partire, è già fatto di ricordo. Il Novecento privato di Iovinelli comincia con la costruzione del teatro di famiglia Ambra Jovinelli, all’inizio della belle époque, e finisce sotto le bombe della guerra nella ex-Jugoslavia. In mezzo ci sono l’impegno politico e il primo amore, i libri e i film, la poesia, la famiglia, il gioco d’azzardo del padre, la minigonna della moglie, la scuola del figlio. Dopo, c’è la delusione. La struttura è la stessa della scala d’oro, “The Golden stairs”, il dipinto del preraffaellita Edward Burne-Jones che dà il titolo alla raccolta. La scala è l’immagine del tempo che scorre. Scalino dopo scalino, l’autore oppone la precisione analitica del ricordo alla disgregazione del tempo. Vivendo la letteratura come un’infinita illusione senza lieto fine, Iovinelli racconta la sua vita come un saggio narrante, perché lui sa e ha capito. Perché ha amato, studiato, giocato, letto, scritto, sognato, viaggiato, sofferto, gioito. Vive e dunque scrive.
Prefazione di Giuseppe Antonelli