Siamo nel 1961, nel pieno del “miracolo economico”, “ci sono in atto trasformazioni colossali nel modo di lavorare, di produrre, di consumare degli italiani”, sta cambiando anche il modo di pensare e di agire… è in qualche modo l’inizio ritardato della modernità italiana, ma anche l’avvio rapido del suo tramonto… e dunque, la nascita di ciò che dagli anni Ottanta del Novecento verrà indicata come postmodernità: il tempo in cui siamo.
Il libro prende spunto da un fatto di cronaca politica, la discesa in Calabria dell’allora Presidente del Consiglio, l’onorevole Amintore Fanfani; è la macchinazione d’una beffa che verrà ricordata col nome de le vacche di Fanfani. La narrazione s’intreccia con un’oscura vicenda mai completamente svelata: la morte della nobildonna Ines Olivara, la madre del cavaliere Otello Olivara, imprenditore legato all’Opera Valorizzazione Sila e socio, insieme a don Raffaele Mirizzo, del postribolo di Montamare all’Jonio.
L’Olivara, papavero del luogo, fu allora segretamente incaricato dai vertici dell’ente calabrese di procurarsi una trentina di mucche e di trasportarle nottetempo per le aziende agricole che sarebbero state inaugurate, di volta in volta, dal Presidente del Consiglio. Un trucco miserabile per nascondere inefficienze e connivenze dell’ente di riforma calabrese, nel silenzio dei media, con l’allora nascente tv di stato. Ma a causa anche dell’inattesa morte della donna, l’imbroglio venne scoperto e reso di pubblico dominio.
Intorno a questo duplice reticolo e nel clima di euforia diffusa tipica di quegli anni, si dispiegano microstorie di ulteriori inganni, pratiche di prostituzione, di gioco d’azzardo e di diffusa corruzione. La narrazione, alla fine, ci svela come andarono i fatti della morte di Ines Olivara, e con quale astuzia, ricorrendo a una confessione prezzolata, Mino Olivara (nipote della vittima), venne tenuto fuori dal delitto della nonna.
Tutto in una serie di circostanze che faranno delle vicende del racconto una sorta di Bildung romance, a cominciare dal soggetto narrante, il giovane Teseo Laberinto.
Rassegna stampa
“Narratore che ha saputo rielaborare con spiccata impronta personale le iperboliche alchimie lessicali di Carlo Emilio Gadda (in particolare quelle di “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana”), e che in certi scorci riecheggia l’umorismo caustico di Andrea Camilleri, Mangone tratteggia un repertorio di personaggi stralunati, maschere emblematiche di uno sfacelo morale che gonfia i bubboni della corruzione e del malcostume.”
Guglielmo Colombero – Bottega Scripta Manent
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