A cura di Renzo Oliva
Membro di una spedizione del 1898 in un’area dell’Estremo Oriente (Corea e Manciuria), voluta direttamente dallo zar Nicola II, allo scopo di studiarne le potenzialità economiche in vista di una penetrazione russa – approfittando della debolezza della Cina ma in opposizione alle mire analoghe del Giappone – l’ingegnere ferroviario e scrittore Garin-Michajlovskij nei suoi taccuini riportò quotidianamente, e nelle condizioni più avverse, quanto da lui visto e vissuto. In questa spontaneità (senza filtro) e immediatezza stanno tutti i pregi e i difetti del libro: da una parte una certa (inevitabile) superficialità o una paternalistica sentenziosità di osservatore “europeo”, ma dall’altra un’affettuosa curiosità, con un entusiasmo da novello Marco Polo, nel descrivere usi e costumi di popolazioni esotiche, una freschezza di particolari nel ritrarre panorami primordiali, dove europei non avevano ancora messo piede, che ricordano certi romanzi d’avventura di Fenimore Cooper.