«Ascolti l’aria, intorno. È piena di brividi, e battiti. Rimbalzi dell’essere. Tu sbadigli. Forse potresti scappare. Nessuno se ne accorgerà. E poi no, cambi idea. Aspetti. Qualcosa cambierà tra poco, e tutto sarà finito.»
Brevi, intensi, veloci. Ecco le caratteristiche di questi racconti, che indagano la parte intima dell’animo in cui si nascondono i desideri e le contraddizioni, la sede dell’eterna disputa fra l’istinto e la ragione.
Il tema del vuoto, inteso come assenza e perdita, è il filo conduttore dell’opera. Sentimenti amputati improvvisamente, assenze dolorose come carne viva, traumi di separazione mai superati.
Il tentativo è quello di aprire una voragine sotto i piedi del lettore, attivando una sofferenza istantanea, secca e potente.
I contesti che nascondono tali sofferenze sono usuali, quotidiani.
La donna che ha perso il suo bambino, e si rifugia nella stanza con le pareti d’acquario, avvolta di solitudine. Il soccorritore che è giunto troppo tardi per salvare il giovane suicida dalla pelle chiara. La bimba che assiste in pigiama al funerale dei genitori, fra i bisbigli dei presenti. La ragazza abusata da bambina, che teme la pioggia per paura di annegare.
Queste storie sono lapilli incandescenti che bruciano la pelle del lettore e lo spingono per un istante dentro il replay sofferto delle storie, nelle viscere del trauma. E in quello squarcio ne trasmettono il dolore in modo veloce, secco, sospeso. Presto dentro, presto fuori.
Ognuna di queste storie è una gabbia.
Gabbie dentro le quali entrare per un istante, e provare la soffocante sensazione di doverne uscire.
I finali sono sospesi, vuoti d’aria dopo i quali tornare finalmente a respirare.