A cura di Stefano Serri
In un contesto culturale come quello canadese, pesantemente legato a moduli romantici e a modelli ottocenteschi, Louise Morey Bowman attua la sua rivoluzione poetica introducendo lievi inquietudini nei tranquilli panorami canadesi, insinuando irregolarità negli schemi metrici e instillando i ritmi della modernità nei modelli del passato. Nella varietà di forme sperimentate, tra haiku, ballate e poemetti, la Bowman in Dream Tapestries (1924) coniuga sempre due direzioni del poetico: da un lato la concentrazione dell’immagine, dall’altro il dispiegamento del racconto. Ogni poesia ci consegna un’istantanea vivida, un’epifania imagista; partendo da un elemento della natura, la poetessa sa trarre un emblema senza mai perdere, nei contorni sfumati del simbolo, i vividi dettagli e l’irripetibilità del singolo oggetto. Viceversa, ogni componimento tenta un racconto, una piccola Epica portatile che trasforma una famiglia e un villaggio in un popolo.
Il tutto orchestrato con grande varietà di ritmi, alternando dialoghi vivaci e pause contemplative: perché tutto ciò che si può contemplare (un negozio, un frutteto, una montagna) lo si può anche raccontare.