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“Capii che in ciascuno di noi si muove, nella parte più recondita, un mostro pronto, appena se ne creano i presupposti, a uscire dalla tana con le più differenti fattezze. Nessuno ne è immune, perché questa è una regola generale che non ammette eccezioni. Lui è sempre lì, in agguato nell’attesa che un’occasione gli spalanchi anche il minimo pertugio. A quel punto, è tardi perché qualcuno possa impedirglielo. Il mostro può essere più o meno forte, più o meno abile, più o meno paziente, ma nessuno di noi è dispensato da questa orribile maternità. Quella volta, ho guardato il volto del mostro che avevo partorito ed era il mio.”
Nel romanzo convivono, appaiate secondo una struttura a capitoli alternati e poi, infine, intrecciate, le vicende, entrambe ambientate in Lussemburgo, di Léon Guèmar e di Aloÿse Kirschenbaum.
Nel 1925 Léon Guèmar è solo un bambino. Quando il padre parla preoccupato dell’ascesa del Nazismo, lui neppure lo ascolta. Nel 1940, però, la Germania incorpora il territorio lussemburghese e tutto cambia. Le truppe naziste sono ovunque. Riuscito miracolosamente a sopravvivere, si dedicherà alla sua vecchia passione per il giardinaggio. Le sofferenze subite lo condurranno, tuttavia, su un cammino che percorrerà con la sola compagnia dei mostri del passato. E li affronterà nell’unica maniera ritenuta possibile.
Aloÿse Kirschenbaum è invece un ispettore di polizia dalla vita solitaria, metodica e ordinata, ambientata agli inizi degli anni Novanta.
Uniche compagnie la paura di ammalarsi e, due venerdì al mese, una donna sposata di nome Bea. La sua vita professionale giunge improvvisamente a una svolta quando diventa il capo e unico membro della neonata sezione Suicidi. A varie riprese troverà tombe senza corpi. Che cosa c’è dietro quei fatti bizzarri?
È da qui che le vite di Léon e di Aloÿse s’intrecceranno, anche se i due sono destinati a non parlarsi mai, ma il cerchio si è ormai chiuso.