Angelo Querini (1721-1795) è uno dei pochi protagonisti della Venezia settecentesca a non essere oggetto di uno studio monografico, un’attenzione già da tempo riservata non solo a politici di maggior fortuna, come Andrea Tron, Paolo Renier e Andrea Memmo, ma anche a tanti artisti, letterati e scienziati della vecchia Repubblica o a semplici comprimari e pittoresche comparse, avventurieri libertini o dame belle e intriganti. I monumenti che avrebbero potuto tramandarne la memoria sono scomparsi – distrutti il giardino e la villa di Altichiero, disperse la biblioteca e le collezioni di statue, di epigrafi e di incisioni, perduta la maggioranza delle sue carte –, di lui rimangono solo relazioni amministrative e pareri redatti nelle vesti di Provveditore, tarde opere a stampa sulla regolamentazione del Brenta, e lacerti dispersi di un ricco e strano epistolario. Ma soprattutto restano le affascinate e affascinanti testimonianze di tanti contemporanei, che costituiscono un ritratto corale, collettivo e parziale, sempre in fieri, ma non per questo meno vero e legittimo, del senatore veneziano.
Con le tavole di Alticchiero della contessa di Rosenberg