Il richiamo del comunismo è un titolo volutamente polisenso. Indica, in primo luogo, un istinto profondo che si fa sentire, malgrado i pesanti fallimenti del passato; ma il “richiamo” potrebbe anche essere quello di un medicinale che va ripetuto, altrimenti non ha effetto. “Richiamo” richiama réclame (una intenzione pubblicitaria?); ma anche “reclamo”, protesta da elevare per l’uso distorto che ne è stato fatto nella disastrosa esperienza novecentesca. Molti sensi, dunque, per un termine senza dubbio problematico, oggi, e pressoché impronunciabile, tranne che per qualche fissato paranoide che vede “comunisti” dappertutto. L’ipotesi di questo libro è che si debba ricominciare a parlarne, come necessaria utopia dell’uguaglianza e della giustizia sociale e del “bene comune”; ma che per ora è bene farlo con cautela, mettendo magari questo discorso “serio” tra gli scherzi, i giochi, le “stravaganze” della poesia, in mezzo a insorgenze sarcastiche e sonorità di rima, a contatto con l’ipermanierismo o con l’accumulo della scrittura automatica. Ne esce fuori un testo insieme ragionante e inventivo: rigorosamente “impersonale” e senza concessioni agli usi retrivi della poesia come vaga emozione e sfogo del vissuto.