“Entrai a passi lenti, rispettosi. Fu una sensazione molto strana entrare nel suo ufficio. Fu lì che mi accorsi di quale colpo aveva rappresentato la sua scomparsa. Quella era la sua stanza, il posto dove passava più tempo, e dove aveva maturato le sue idee. Dove le aveva concretizzate. Lì il mondo aveva fatto un passo avanti. Qui era rimasto fino al giorno in cui era stato buttato fuori dal Centro. E anche un po’ di più.”
Quando l’astrofisico Solovi scompare, lascia dietro di sé una serie di fondamentali scoperte ottenute in una brillante carriera di uomo di scienza, non ultima una serie di intuizioni che lo hanno aiutato a costruire il migliore degli strumenti per l’esplorazione dello Spazio Profondo. Non lascia che un vuoto di informazioni, tuttavia, sulla sua vita personale, e una sfilza di quesiti irrisolti.
Perché ha compiuto – se davvero lo ha compiuto – un gesto così estremo come il suicidio? Quanto c’era di vero nella convinzione che Solovi avesse vissuto una vita appagante, invece di combattere contro una solitudine devastante, incolmabile, più vasta ancora dello Spazio inesplorato?
Forse non resta che l’opzione del rimpianto per aver perduto un uomo che ha dato tanto al mondo e che il mondo non si è dato pena di ricompensare.
Ma ancora oggi risulta impossibile credere che una persona geniale, piena di risorse, eclettica come Solovi non abbia lasciato neanche un messaggio, andandosene.