A cura di Maria Grazia Ceccobelli
È dal suo volontario esilio di Bruxelles, il 5 dicembre 1852, che Alexandre Dumas invia al “Constitutionnel” il prologo del suo nuovo grande romanzo:
«Miei cari, vi invio il prologo d’Isaac Laquedem. Che ne farete di questa nuova opera? Non lo so; ‒ ma lasciate che vi dica ciò che vorrei ne faceste. ‒ Isaac Laquedem è l’opera della mia vita, e voi ne giudicherete: sono ventidue anni che, credendo di essere vicino a completare questo libro formidabile, lo vendetti a Charpentier. Doveva farne allora otto volumi. Due anni dopo, glielo ricomprai, non trovando abbastanza forza per lottare contro un simile soggetto. Da quel tempo, nel mezzo di tutto ciò che ho fatto, in fondo a tutto ciò che ho fatto, e ho fatto settecento volumi e cinquanta drammi, questa idea ostinata ha vissuto ‒ e da otto volumi si è ampliata fino a diciotto. Sempre impotente a completarla come doveva essere completata, da almeno vent’anni ho studiato molto e appreso molto; tutto ciò che ho studiato e appreso d’arte, di scienza, di uomini e di cose, lo metterò in Isaac Laquedem; è, ve lo ripeto, l’opera della mia vita.»