“Lei la vede, questa piccola città. Sembra tranquilla, per bene, addirittura spenta. Non è così, mi creda. Ci sono regole d’ipocrisia che non si possono violare, passioni che non si possono esprimere. Miserie private quante ne vuole, infinite, ma tutto sparisce, tutto si cancella, nel pacchetto di dolci con il nastrino del bar Diana, nei saluti domenicali, alle 12, davanti alla chiesa del Rosario.”
Dimenticare, ricostruire, modernizzare. Queste sono le parole d’ordine che guidano Avellino negli anni del dopoguerra.
Una coltre di quiete apparente sembra ricoprire la città nel procedere ciclico della sua quotidiana esistenza.
Questo velo si squarcia, all’improvviso, per mostrare il vero volto che si cela dietro all’ipocrisia degli abitanti della piccola cittadina, animati da un cieco e violento desiderio di sopraffazione e di rivalsa. Il commissario Melillo è costretto a confrontarsi con una serie efferata di delitti in cui vendette personali, intrighi politici e ferite del passato si intrecciano contribuendo a sfigurare definitivamente l’aspetto e l’identità della città.
Recensione sul Corriere dell’Irpinia