A cura di Alessandro Medri
Anche se doveva essere grato al successo (e al guadagno) procuratogli dal suo quarto romanzo, Far from the Madding Crowd, Hardy non voleva vendersi per sempre ai periodici borghesi, o rimanere imprigionato dalla reputazione di scrittore bucolico. Tutta la sua carriera narrativa è giostrata fra questi due poli, acquiescenza e resistenza, imitazione e originalità, ma The Hand of Ethelberta (1876) è l’unico romanzo in cui venga messo a tema esplicitamente il problema del lavoro nell’industria editoriale (con la variante, per Ethelberta, del lavoro nell’industria matrimoniale), il fastidio di dovere ammannire alla folla quel che chiede pur non volendo finire in pasto ad essa compromettendo il proprio valore. Sfidando le convenzioni relative alla separazione netta fra ciò che è maschile e ciò che è femminile, Hardy mette in questione tutta la caratterizzazione vittoriana (e non solo) della figura femminile come creatura emotiva, debole, indifesa e quasi infantile, bisognosa com’è di dipendere da qualcuno, fisicamente e psicologicamente inferiore al maschio, finendo per decostruire l’idea tradizionale stessa della donna.