Nel racconto La zucca che si fece cosmo — in cui si narra di una zucca che, essendo cresciuta a dismisura, giunge a coincidere col mondo intero — Macedonio propone la sua «metafisica cucurbitacea», chiedendosi «se non siamo per caso cellule del Plasma immortale», cioè di «una Totalità tutta interna, Limitata, Immobile (senza Traslazione), senza Relazione, perciò senza morte». Ogni io è come questa zucca omnipervasiva, che coincide col mondo e diviene così l’insieme delle sue relazioni interne; è il romanzo che abitiamo come personaggi che possono solo sognare la loro esistenza e che possono ritrovarsi solo acquisendo la consistenza di un monoindividuo immortale, in grado di riconoscersi solo in una lucida confusione, simile, per certi versi, a quella in cui si riconosce anche il protagonista di 8 e 1/2 di Fellini in una delle sue scene finali.
Recensione su Retroguardia 3.0