Al centro di questa raccolta di poesie di Mauro Ponzi c’è il problema della memoria. Il titolo stesso memory card rimanda alla memoria artificiale, quella piccola schedina che contiene innumerevoli documenti – e però la meraviglia tecnologica in cui siamo immersi e dalla quale dipendiamo risulta inoperante e inopinatamente “perduta”; dall’altro lato, la memoria si presenta con tutta l’autorevolezza del passato che, tanto più sprofonda lontano e tanto più diventa mitico, è la dea Mnemosyne, autentica musa che spira e narra. È un confronto con la temporalità: il tempo appare in due immagini molto rappresentative: quella della sabbia e quella del fiume. La prima sembra indicare il tempo della vita individuale, fatto della successione di infiniti attimi che cerchiamo invano di trattenere. La seconda si addice di più al flusso della storia in cui siamo trascinati senza riuscire a deviarne il corso. Questa è un’altra dialettica propria della poesia di Mauro Ponzi: tra privato e pubblico, tra personale e politico. Eravamo abituati a riconoscere nella poesia di Mauro Ponzi, secondo un suo titolo precedente, la malinconia di sinistra. Ma qui la malinconia si spinge davvero alla “bile” più “nera”. La “voce” poetica – se vogliamo usare questa espressione per indicare il soggetto che parla – è quella di un viaggiatore munito di taccuino, di “quaderno” o “quadernetto”, strumento essenziale all’approntamento della poesia. Ora, l’equivalente della speranza nel futuro è l’aspetto formale della poesia. Apparentemente Ponzi sembra disdegnare l’aspetto formale, il suo testo si presenta in modalità prosaica. Tuttavia, c’è una sorta di ritmo segreto. Consistente talvolta in rime, spesso nel persistere di misure incostanti che conferiscono un ritmo ai suoi versi. C’è, insomma, non tanto una musica della sonorità, quanto un ritmo del pensiero.