«E lui ci giocava, con quelle stelle… allungava un dito e tracciava mentalmente delle righe; come se fossero puntini da unire.»
In una fiera di paese un giovane contadino conosce un attore itinerante di mezza età. Sono forse uno il contrario dell’altro e, nonostante il loro rapporto non sembra partire certo col piede giusto, finisce che i due si mettono in marcia, insieme; che quando c’è una meta comune può succedere che il viaggio scorra se non proprio col primo che capita, comunque col secondo.
E si sa che il camminare delle lancette, così come quello dei piedi, può portare dei cambiamenti. Che delle volte i passi sono pure movimenti della testa.
Senza dimenticare che se vero è che sappiamo quello che lasciamo ma non quello che troviamo, bè, può pure darsi che il nuovo possa nascondere tra le sue pieghe delle scoperte che risultavano inarrivabili fino a qualche istante prima.
In questo romanzo picaresco Gian Pazzi torna su alcuni degli argomenti a lui cari: il rapporto col tempo, la precarietà delle sensazioni, la fine di una cosa che diventa esperienza e non fa altro che sancire l’inizio di una nuova.
Perché se a volte la paura si nasconde in quello che non si conosce, allora bisogna aver cura che il Vecchio diventi Saggio; e cioè che superi il passato riuscendo a farne tesoro e non tormento.