“Indubbiamente la figura del samurai merita particolare attenzione in virtù della longevità di questa classe nella storia turbolenta del Giappone, ma tale fatto non basta da solo a giustificare il mito che si è venuto a creare intorno a questi guerrieri. Il samurai era certamente una macchina da combattimento letale, dotato di una specializzazione raramente raggiunta nella storia dell’umanità. Sin dalla sua nascita il bushi era avviato a servire militarmente con onore e fedeltà il suo signore e a tale scopo doveva dedicare tutta la sua esistenza a perfezionare al massimo tali doti. La stessa attitudine dei giapponesi a raggiungere con assoluta semplicità la perfezione, sia pratica che estetica, in tutte le loro attività, caratterizzò anche il perfezionamento del loro addestramento. Il samurai era d’altra parte posto al vertice di una società che visse di agricoltura per la maggior parte della sua storia e questo ne caratterizzò inevitabilmente i comportamenti. Anche quando si ingentiliva, assorbendo comportamenti e usi della vita di città o di corte, come avvenne in certi periodi, il bushi era tendenzialmente attratto dalla semplicità, da sempre caratteristica peculiare della vita di campagna. Questo binomio di spartanità e raffinatezza era una delle insolite contraddizioni che permettono ancora adesso, dopo quasi 150 anni dalla definitiva abrogazione del loro status, di attirare tanto peculiare interesse nei loro confronti.”