Tutto un correre, un incessante progredire che non sembra mai finire, eppure, lo vediamo chiaramente, prima o poi questo sogno dovrà terminare. Come può la nostra mente illuderci del fatto che questo nostro vivere possa essere eterno? Non ci accorgiamo della fine, finché non è prossima. Tra secoli, millenni, giorni, mesi o anni; io morirò e anche voi e tutti gli altri, perché noi ci estingueremo. Si potrebbe sperare in qualcosa di diverso, in un altro universo, illuderci che la nostra specie possa vivere per sempre, ma questa è Natura.
Questa consapevolezza della fine, dell’estinzione, non deve essere data per scontata, non deve essere ignorata. Questa, per troppo tempo, è stata relegata, meglio incatenata, nei meandri più nascosti della nostra intelligenza collettiva e, sempre più, questo nostro essere specie e comunità di esseri umani è passato in secondo piano. Abbiamo smesso di pensare alla sopravvivenza, o almeno molti di noi, e l’abbiamo data per scontata. Il pianeta muore, l’ecosistema mondo collassa e noi con loro. Dilaga l’eco-ansia, dilaga la paura per il punto di non ritorno. Non siamo in un film dispotico, nemmeno in un incubo, siamo nelle nostre case, nelle nostre città e nei nostri Paesi. Il tempo passa e l’ora pare già tarda, forse saremo testimoni dell’estinzione della nostra specie.
“Ne sarò testimone?”. Questo è il dubbio che assale l’autore. Sente la morte vicina, la sente scorrere lenta sui polsi: questo è il suicidio della specie umana. Muore dissanguata, lentamente e così, con disgusto, con orrore e poche parole, parlerà del suicidio della nostra specie.