“L’amore può essere malattia? È mai malattia amare, o lo è sempre? In verità la follia ha un solo nome: amore.”
Un uomo uccide la donna che ha amato e che non ha mai smesso di desiderare. La uccide per legarla a sé all’infinito. Internato in un manicomio criminale, l’omicida s’interrogherà sul suo stato mentale, sull’amore che spinge al di là di ogni ragionevole rassegnazione, sul suo passato, su ciò che l’aspetta. La paura di rimanere rinchiusi fuori dal mondo, fuori dalla realtà. Trenta giorni, durante i quali l’omicida si confronta con la sua presunta follia, con l’ambiguità della psicologa da cui è seguito e da cui riceverà inattese e sorprendenti rivelazioni.
Rassegna stampa
”[…] Qui Contini disvela la seconda anima del suo romanzo, quella della denuncia, nel rammentarci l’esistenza di questi istituti di pena per malati mentali e, soprattutto, nel rammentarci l’esistenza di coloro che vi sono stati rinchiusi per un tempo potenzialmente indeterminato ( la più atroce delle condanne! ) esseri umani tragici, infelici, che a volte hanno commesso crimini terribili e ripugnanti, a volte si sono macchiati di colpe irrisorie rispetto alla pena che sono costretti a scontare.
Il romanzo si fa corale raccontandoci, quasi come epitaffi dei morti di Spoon River o come accorati appelli d’anime di dannati in una metaforica discesa agli Inferi, le storie di alcuni ospiti dell’OPG, né veri malati sottoposti ad adeguate cure né veri detenuti certi della fine della loro pena.”
Alessandra Grosso – Agenzia Radicale
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“Il romanzo, accattivante pur se ‘duro’ in alcune sue parti, si legge tutto d’un fiato. Poi, chiusa l’ultima pagina, si continua a riflettere. Difficile attendersi di più.”
L. D. T. Il Tempo, 3 giugno 2008
Interviste
Gianfranco Contini intervistato da Simone Gambacorta su “Abruzzo Cultura”
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Giliola Chisté © (Foto di copertina)
